domenica 1 dicembre 2019

lunedì 6 febbraio 2017





È nuovamente disponibile il video di Maria Callas che esegue "Habanera" dalla Carmen di Georges Bizet. Tale video aveva raggiunto ben 1.100.000 visualizzazioni sulla piattaforma YouTube ma, da qualche giorno a questa parte, risulta bloccato in tutto il mondo, dopo che per ben 6 anni è stata consentita la visualizzazione a tutti, sfruttando altresì la tanta pubblicità sul video.

Assurde rivendicazioni di "copyright" su materiale dichiarato protetto, ma risalente a ben 55 (cinquantacinque) anni fa, ed il cui contenuto è ormai divenuto Patrimonio dell'Umanità, fosse solo per la presenza della Divina.

lunedì 26 dicembre 2016

Un regalo molto gradito...

Mille e una Callas
Voci e studi


Quodlibet Studio - 
Musica e Spettacolo

Tutti hanno sentito il suo nome, molti hanno udito la sua voce. La parabola spettacolare di un'artista che conobbe un'ascesa scabrosa benché non avara di riconoscimenti, fino a un culmine breve come tutti i culmini, e una prolungata, malinconica discesa verso una brusca morte misteriosa, ha ispirato romanzi, poesie, testi teatrali e musicali, spettacoli di danza, film, programmi radiofonici e televisivi. Crisalide mutatasi in icona di eleganza femminile, la greco-americana si fece italiana, anzi veneta (di Verona) e poi milanese, per finire francese o quasi: l'essenza internazionale del melodramma italiano non poteva essere sancita in forma più apodittica. Il suo canto, ora osannato ora censurato, il suo stile interpretativo paragonato alle grandi voci dell'Ottocento, le sue riconosciute facoltà di attrice hanno riportato prepotentemente l'opera lirica al centro del dibattito intellettuale, hanno aperto nuovi sentieri nel repertorio, hanno contribuito a rafforzare in Italia il ruolo della regia operistica. Maria Callas (1923-1977) è tutto questo. Per la prima volta, filosofi, storici della letteratura, dell'arte, del teatro, del cinema, della danza, della moda, sociologi della comunicazione indagano gli effetti della sua presenza umana e artistica nella sfera dello spettacolo e del costume sociale. Lo studio del lascito artistico è affidato ai musicologi, impegnati anche a delineare possibili metodologie per un terreno di ricerca ancora poco dissodato — almeno in Italia — quale è l'interpretazione musicale. Dei ricordi parlano testimoni diretti e amici del grande soprano. 
Scritti dí Aliberti, Arbasino, Aversano, Bartoletti, Beghelli, Biancorosso, Bono, Camellini, Cesari, Conati, Crivelli, Emanuele, Gamaleri, Gobbi, Guandalini, Henze, Lo lacono, Matassi, Menduni, Moscati, Nicastro, Orselli, Parigi, Pellegrini, Poli, Puppa, Ruffini, Sala, Scognamiglio, Segre Reinach, Serafin, Serpa, Tommasi, Tosi, Valeri, van Zoggel, Weaver.

A cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini

domenica 25 dicembre 2016

Indimenticabile Maria
di Franca Valeri

È frequente nelle nature artistiche avere due facce. Questo è stato evidente per Maria Callas. La Maria amica che abbiamo conosciuto prima che la mannaia Onassis si abbattesse sulla sua vita era "una" fino alle quinte del suo magico regno. Spesso allegra, altrettanto spesso preoccupata, ambiziosa, avanzava con simpatia una ingenua esigenza di essere "al centro", esibiva con soddisfazione il suo dimagrimento. I suoi collaboratori come suo marito, i direttori d'orchestra come i colleghi, gli amici assiepati in teatro, tutti sapevano che il suo perfezionismo non li avrebbe mai traditi. Una grande magnifica professionista si presentava nelle vesti di Norma. Qui era ancora Maria. In quale istante nasceva la sua capacità di essere "oltre"? Ecco la Callas interprete miracolosa: il suo imprevedibile gioco fra le sue note e il suo cuore, quelle misteriose intuizioni incantano sempre la nostra emozione. I ricordi della nostra amicizia sono intensi, ma non sono moltissimi: eravamo tutte e due nel pieno del nostro lavoro, ci è costata molti aerei, erano anni in cui la vita era anche divertente. I ricordi si depositano senza regole: Karajan che salta come un ragazzino da un motoscafo a Ischia e va incontro a una Maria colla testa ancora piena delle note di Anna Bolena, tanto che mi sembrava distratta. Maria, flessuosa in un costume bianco, fin de siècle, è Fedora, io sono in palco alla Scala e lei fra le braccia di Corelli. Spira, i grandi occhi spalancati. La voce di Meneghini sulla mia spalla rompe un po' l'incanto: «Guarda la Maria che muore con gli occhi aperti». I Vespri siciliani alla Scala, 1970, applausi finali, Maria si affaccia elegantissima, ospite attesa dalle voci di corridoio, e tutto, proprio tutto il teatro gremito si volta verso il suo palco di proscenio con un applauso fragoroso. Lei si ritira con un piccolo gesto regale. Dopo tutto è Maria Callas, anche se non è stato gentile per i cantanti. L'ultima volta che l'ho ascoltata, alla Scala, nella Medea del congedo, sottilissima, non contenta, mi ha detto col suo inconfondibile accento veneto: «Franca... sono stanca».

giovedì 20 agosto 2015

Un grande medico: Mario Giacovazzo. Egli ebbe pazienti illustri, tra di essi anche Maria Callas. Racconta di quando, nel settembre 1975, andò a Parigi appositamente per visitarla, sollecitato in questo compito da due ambasciatori.


"Fui colpito dal rossore violaceo che interessava l'emifaccia sinistra ed il collo sullo stesso lato. Quando le strinsi la mano, mi accorsi che era nodosa, come pure l'altra. Lei stessa le aveva definite "mani da macchinista". La voce era roca e deformava la voce parlata, finanche stridula. Feci la diagnosi...".
Il prof. Giacovazzo, parla, racconta, come se anche noi fossimo stati presenti a quella "visita" quando riscontrò nella Callas la "dermatomiosite", una malattia infiammatoria del tessuto connettivo che aggredisce muscolatura e pelle. "I muscoli della laringe sono tra i primi ad essere colpiti, donde la disfonia irreversibile. Ma anche il muscolo del cuore risulta colpito. Due anni dopo Maria morì di infarto".

mercoledì 15 luglio 2015

Cinquant'anni dal ritiro dalle scene di Maria Callas

Callas, attrice perduta

di Gina Guandalini
Il 5 luglio 1965 la Callas si presentava sulle scene del Covent Garden di Londra per una singola recita di Tosca che divenne in seguito – allora non era dato di prevederlo – la data finale della sua carriera di cantante-attrice.
È come attrice, a ben vedere, che la critica operistica attende ancora di valutarla in modo compiuto. Se tutti gli altri aspetti del suo fenomeno – vocale, musicale, storico, personale, di costume - sono stati esaminati in più di cento libri e in una quindicina di film documentari, così non è per la sua presenza attoriale. E per forza di cose: si sa come la documentazione filmica della Callas interprete si riduca a poche incomplete o frammentarie testimonianze. Lei non credeva – è noto – alla possibilità di conservare su pellicola un’interpretazione operistica.
È del 1956 la sua risposta, su Epoca, a un ammiratore di Torino (“G.R.”) che le chiedeva perché non fosse mai stata scritturata per interpretare qualche film. La Divina rispose in prima persona, ricordando tre proposte da lei fino a quel momento rifiutate: la partecipazione al celeberrimo Casa Ricordi di Carmine Gallone; il ruolo soltanto vocale di Aida nel film omonimo, doppiando Sofia Loren; una non meglio precisata proposta più recente, Tosca come “voce e fisico”. Aggiungeva anche che in America (probabilmente quando era a Chicago, nell’autunno ’54 o ’55) le era giunto un invito ad effettuare un provino a Hollywood, ma le era stato impedito di accettare dai troppo numerosi impegni di lavoro.
Il film Casa Ricordi segue tre generazioni dei mitici editori milanesi e la loro attiva partecipazione alla grande storia dell’opera italiana. Donizetti è addirittura Marcello Mastroianni. Sarebbe interessante sapere quale ruolo fu proposto alla Callas: la Colbran è la svedese Marta Toren, Giulia Grisi è Nadia Gray, la Strepponi è Elisa Cegani. Cantano Del Monaco, Poggi, Gobbi, la Tebaldi (nella Bohème), la Simionato, Tajo e Neri tra gli altri. Anche in questo caso la Callas adduceva “impegni di lavoro” come motivo di rifiuto, aggiungendo di non aver avuto l’occasione di vedere Casa Ricordi.
Quanto al celebre film di Clemente Fracassi in cui la protagonista ha il fisico prepotente della Loren e la voce della Tebaldi, la Callas aggiunge acidamente “non so nemmeno se poi è stato realizzato” e spiega che ha detto di no “non piacendomi per principio ‘prestare’ la voce”. E’ possibile che pensasse, oltre che naturalmente alla sua “aborrita rivale” e alla terza proposta da lei ricordata, Tosca, a una Cavalleria rusticana di Gallone del ’53, in cui nel ruolo di Alfio Tito Gobbi prestava la voce ad Anthony Quinn.
L’intrigante proposta di Tosca fu quasi certamente il film realizzato a colori a Cinecittà nel giugno ’56, con Corelli come Cavaradossi (sembra che il cachet richiesto da Del Monaco fosse esorbitante). Impresa molto datata, con Floria Tosca e Scarpia sdoppiati e doppiati: per la protagonista, come attrice il soprano statunitense Franca Duval, dal fisico più simile a quello della marchesa Attavanti che a quello della bruna Floria, e la voce della Caniglia; per il barone Scarpia la presenza attoriale di Afro Poli e la voce di Giangiacomo Guelfi. La Callas afferma che rifiutò di partecipare, ancora adducendo “impegni di lavoro contrattuali”.
In quel 1956 la Callas non citava la sua assenza dalla scena del Trovatore che apre Senso di Visconti (che pure si dice che il grande regista le avesse proposto) e soprattutto il no alla Traviata che la RAI realizzò per la televisione e trasmise il 22 dicembre ’54, per la direzione di Sanzogno e la regia di Enriquez. Violetta fu, come è noto, la bella e accurata Rosanna Carteri. Nel giugno ’54, quando era giunta la proposta ufficiale, la Callas e il marito ne avevano accennato per lettera a Visconti. Era arrivata una risposta violentemente antitelevisiva: Luchino era sgomentato dal progetto “pericoloso e assurdo. Dio mio! Dio mio!...Il più brutto sgradevole antiartistico e controproducente spettacolo che si possa vedere… Un grigiore senza rilievo, senz’anima, senza vigore… Gli pseudo registi, in fregola di arditezze e originalità, confondono il teatro col cinema, il melodramma col documentario di attualità… muovono le macchine da ripresa da far venire il mal di mare”. Forse per Visconti il peggio era che alla RAI “riprendono l’opera in playback… già cantata prima e incisa, dopo di che i cantanti rifanno tutta l’opera muovendo la bocca soltanto”. Insomma non vedeva Maria “a fare il pesce rosso nel vaso”.Aggiungeva che il mezzo televisivo era ancora talmente rudimentale. che era molto meglio aspettare che passasse la fase sperimentale; che almeno arrivasse il colore; che di quegli spettacoli si occupassero “gli artisti”.
C’è da chiedersi come Visconti conoscesse le opere televisive, posto che in Italia quella trasmissione di Traviata avrebbe inaugurato il “filone” sette mesi dopo il suo sfogo epistolare; viene fatto di pensare che fosse sin realtà molto seccato all’idea che la sua interprete di elezione bruciasse presso il pubblico televisivo degli anni ’50, ingenuo e superficiale, nazional-popolare, la Violetta che insieme progettavano di presentare alla Scala. Aveva probabilmente ragione. Sulla trascinante potenza della Violetta-Callas vale il recente ricordo di quella Traviata del maggio ’55 di Piero Tosi, scenografo storico: “Rina Morelli e Sarah Ferrati assistevano da un palco. Piangevano per l’interpretazione della Callas. Rina era una persona morbida, sensibile; ma Sarah no, era una dura, eppure era lì che piangeva».
Fatto sta che, due anni dopo il rifiuto di presentare in TV la sua Violetta, la Callas dichiarava concisamente a quell’ammiratore torinese “Sono d’avviso che filmare opere liriche non sia cosa buona”. Avrebbe purtroppo conservato questa ostilità per tutta la vita. “Se potessi scegliere, mi piacerebbe interpretare la vita di una grande cantante lirica del passato”, prosegue la sua risposta su Epoca.
Il risultato è che i posteri hanno ben poco materiale filmato su cui giudicare questa storica attrice cantante.
E’ ironico che siano rimaste tre versioni filmate del secondo atto di Tosca (New York novembre ’56, tagliatissimo; Opéra di Parigi dicembre ’58; Covent Garden febbraio ’64) e nulla in pratica sia stato preservato di altri ruoli, ancora più emblematici della Callas attrice, come Medea, Norma e Anna Bolena.
Va detto infatti che ben poco si può dedurre e inferire sulla recitazione della Callas dai due minuti scarsi di frammenti della Norma triestina del novembre ’54 – dove fra l’altro l’obiettivo taglia la testa ai protagonisti e ne allunga i corpi; dal lacerto oscurissimo della generale di Butterfly a Chicago nel novembre ’55; dai due o tre flash del palcoscenico scaligero alla fine di Norma (dicembre ’55) e dell’Opera di Lisbona nella Traviata (marzo ’58).
E’ vero che il concerto di Amburgo del maggio ’59, di cui è stranoto il kinescope in bianco e nero, offre un bellissimo saggio della grandezza di interprete della protagonista; nel differenziare il pensiero intimo dal declamato, nel trascolorare della gamma espressiva dal malizioso al tragico con il viso e il gesto; nell’uso sapiente dello scialle da sera nel creare un costume – mantiglia, manto regale, cappuccio, stola agitata dal vento e dalla follia - e un clima. Qui è il caso di notare che di recente una nipote della Callas da parte del padre, abitante a Tarpon Springs in Florida, ha dichiarato che Maria, insieme alla madre e alla sorella, avrebbe abitato presso la sua famiglia dal ’28 al ’30 e non solo - come narrato da Jackie e Litsa nelle loro biografie - per una vacanza marina nell’estate ’29. Nei ricordi della zia paterna la piccola Mary sarebbe stata entusiasta di uno scialle a frange che ricopriva il pianoforte e nelle sue frequenti esibizioni canore se lo sarebbe drappeggiato addosso, provando e riprovando l’effetto visivo e teatrale di questo fondamentale prop.
Molto mitizzato - e pasticciato con sonorizzazione casuale - è il footage di due minuti dell’ultima Medea scaligera, che pure qualche idea ci dà della Callas attrice magra ed invasata.
Esistono poi 40 secondi di prova della scena di Medea con Creonte, (Ferruccio Mazzoli) a Epidauro nell’estate ‘61: la Callas indossa un vestito estivo a fiori su cui ha gettato uno scialle scuro.
Più distaccata che nel ’59 ma sempre regina della scena la Callas si rivela nei concerti di Londra e Amburgo del ’62. Ma sono sprazzi di teatralità, come lampi in un cielo buio. E abbiamo ancora brevissimi filmati molto amatoriali realizzati dall’alto del loggione e dalle quinte dell’Opéra di Parigi in Tosca e Norma nel ’64.
E’ interessantissimo il brano del recitativo che precede “Casta diva”, ripreso durante la generale all’Opéra di Parigi nel maggio ’64: audio e sonoro, con scene, costumi e coro, da “Infranta, sì!” a “Io mieto”. La più autorevole Norma del ventesimo secolo qui batte veramente un colpo, dà un’idea del suo carisma.
I filmati-Callas si concludono con il concerto francese del ’65 che incluse Manon di Massent, Sonnambula e “O mio babbino caro”; e qui l’espressività del bellissimo viso e i gesti accorati possono, per qualcuno, sostituire un intero film di Norma o Traviata; come del resto accade per il materiale filmico della tournée 1973-’74.
Un elemento di valutazione del potere attoriale della Callas resta certamente la Medea di Pasolini, girata nell’estate ’69. Ma va tenuto presente che in Italia solo da una decina d’anni è ricomparso in sordina il DVD con la sua autentica voce che recita in italiano; per trent’anni la recitazione parlata è stata quella di Rita Savagnone. Bravissima doppiatrice, ma ovviamente estranea al “corpo” di chi recita, per cui il cinquanta per cento di quella interpretazione ci veniva sottratto. Ed è triste che nessun critico cinematografico ne abbia parlato (all’estero la Callas recita in inglese). Si è detto che all’indomani dell’uscita di Medea sugli schermi europei, il regista friulano avrebbe suggerito a Maria un film da Madre Coraggio di Bertold Brecht…
Un recente intervento dell’attore, scenografo e oggi gallerista Giorgio De Dauli è poi tutto da verificare: afferma che, lasciato il marito e costretta a fare i conti con una grave crisi vocale, la Callas avrebbe consultato il produttore Filippo Del Giudice – finanziatore dei tre film shakespeariani di Laurence Olivier tra il ’44 e il ’53 – per sapere se le fosse possibile passare alla carriera cinematografica. La risposta dell’illustre produttore sarebbe stata, prevedibilmente, negativa. Solo che De Dauli colloca questo incontro nell’anno 1956, quando i coniugi Meneghini erano ancora lontani dalla separazione, di crisi vocale nessuno parlava e la fase creativo-operativa di Del Giudice era finita da un decennio.
Costretti a ricostruire la Callas-attrice sulla base di fotografie, tre o quattro autori hanno lasciato studi importanti.
Nel 1974 Gerald Fitzgerald, vicedirettore dei periodici newyorkesi Opera News e Opera Ballet, pubblicava quello fondamentale e tuttora insuperato, il sontuoso volume fotografico Callas. Spina dorsale di questo smagliante tributo era una e vera e propria messe di ricordi di Visconti e Zeffirelli, tutti più o meno inediti, a commento di una serie di bellissime foto degli spettacoli scaligeri e londinesi. Sandro Sequi, Piero Tosi, Nicola Benois, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Nicola Rossi Lemeni e Franco Corelli rinforzavano il coro. Margarita Wallmann permetteva a Fitzgerald di riprodurre quanto da lei scritto nella sua autobiografia coeva, Les balcons du ciel. John Ardoin, critico di Dallas che avrebbe quasi interamente dedicato la sua attività esegetica alla Callas, contribuì con una sostanziosa prefazione: due lunghi saggi sulla cantante e sulla donna (di cui fu amico personale tra il ’68 e il ’74). Il libro è diventato perciò famoso come Callas: The Art and the Life “di John Ardoin”; mentre il settore portante, il corpus di questo studio è in realtà The Great Years di Fitzgerald. Inutile dire che quanto fu raccolto da Fitzgerald è stato citato e ripetuto all’infinito in cento altri libri, finendo per non avere più copyright o paternità.
Sprazzi visivi affascinanti si possono godere nella raccolta fotografica Les images d’une voix, che Sergio Segalini pubblicò nel 1979. E gli appassionati conoscono un altro volume fotografico francese, di Gérard Gagnepain, che è stato collezionista di materiale – tra l’altro - circense e cinematografico.
Michael Brix, studioso di architettura tedesca e in generale barocca, ha pubblicato nel ’94 uno studio che nella seconda metà è fotografico e attinge a fonti che all’epoca erano inedite, come ad esempio le espressive immagini dell’Ifigenia in Tauride fotografate da Willy Rizzo, e il patrimonio visivo londinese firmato da Houston Rogers.
Qualche reminiscenza inedita (di Rossi Lemeni, di Rescigno…) è reperibile in Callas e Bellini: Analisi di una eredità della musicologa siciliana Floriana Sicari (Sinfonica – Brugherio 2002).
Diverse tesi di laurea sull’argomento “Callas attrice” sono state discusse tra il 1979 e oggi; io ne ho sfogliate tre. E ogni volta mi chiedo se tramite un’analisi minuziosa di centinaia di fotografie, se grazie a una pur apprezzabile conoscenza di regìa e recitazione i laureandi in questione possano spiegare come recitava la Callas; se siano in grado di articolare e dettagliare un vero discorso sulla sua presenza di interprete scenica. Come se avessero seguito ossessivamente la sua carriera dal 1940 al 1974; come se disponessero di una fitta e accurata filmografia, a livello di quelle della Garbo, di John Gielgud, di Laurence Olivier e di altri. Così non è, purtroppo. Cinquanta istantanee di una regia di Visconti ci dicono molto e permettono di farsi un’idea di ciò che fosse l’interpretazione callasiana. Un’idea, però; altro era quello che vedeva il pubblico di palchi e platee, ben altre erano le suggestioni che arrivavano ai loggionisti; e tutti contemporaneamente ascoltavano.
Sarebbero da raccogliere e rileggere le impressioni di coloro che, spettatori coinvolti del fenomeno Callas tra il ’49 e il ’65, ne riascoltavano dopo decenni le relative registrazioni dal vivo, ma sono annotazioni molto scarse, forse divulgate solo da Celletti e Gualerzi. Fedele D’Amico, per fare un esempio, descriveva volentieri l’impatto visivo della Traviata del ’55, ma rifiutava ogni ascolto discografico per principio e si basava solo sui ricordi. Le generazioni che dagli anni Settanta si nutrono dei dischi della Callas non hanno potuto essere presenti in teatro.
Quasi interamente assente è poi uno studio su tutti i registi di Maria Callas, prima e al di fuori di Visconti e Zeffirelli. C’è il fondamentale periodo trascorso in Grecia fino al 1945, mai compiutamente documentato prima che apparisse lo studio di Petsalis-Diomidis nel ’97. Molte sono le domande che avremmo voluto rivolgere a diverse persone di teatro che plasmarono la Callas adolescente. Si tratta di Yorgos Karakandas (suo insegnante di recitazione fin dal ’37), Mihalis Vourtsis (che mise in scena il saggio scolastico di Cavalleria rusticana); Elvira Rodriguez Raglàn, in arte Elvira De Hidalgo (seconda madre - e probabilmente anche regista di una Lucia di Lammermoor, nel giugno ’43, di cui Maria seguì tutte le prove); Renato Mordo, che le inculcò alcuni concetti fondamentali di “presenza scenica”; Dino Yannopoulos (suo regista in Tosca nel ’42, ’43 e ’56); Oscar Walleck con il quale preparò Leonore di Fidelio. Tutti venivano da carriere importanti e le hanno trasmesso nozioni fondamentali.
E, nel corso della carriera internazionale, la Callas lavorò con una sfilza di teatranti dai quali lei, vera e propria “spugna”, avrà assorbito idee, sicurezza e forse ispirazione. Ecco i nomi, per gli studiosi di storia del teatro: Carlo Piccinato, Alessandro Brissoni, Carletto Tibòn, Carlo Azzolini, Riccardo Santarelli, Armando Agnini, Riccardo Moresco, Carlos Marches, Carlo Maestrini (assistente di Armida e regista di Medea alla Fenice), Carlos Diaz Du Pond, Giuseppe Marchioro, Bruno Nofri, Hans Busch, Desiré Defrère. E che cosa si sa di Augusto Cardi, di Mario ed Enrico Frigerio, di Domenico Messina, di Ugo Bassi, di Ciro Scafa?
Insistiamo che lo storico del teatro, se vuole valutare pienamente il fenomeno della Callas attrice operistica, può e deve andare oltre i nomi di Visconti, Zeffirelli e Wallmann. Ancora agli inizi di carriera, donnone massiccio e goffo, la nostra cantante lavorò con Guido Salvini, discendente del grandissimo attore Tommaso e colonna del teatro italiano; con Giovacchino Forzano, librettista di Puccini; la Norma romana del ’50 fu preparata con Alessandro Sanine, grafia italiana di Aljexandr’ Sanin, scenografo e direttore di scena delle favolose stagioni del Ballet Russe di Djaghilev a Parigi. Il primo Turco in Italia romano si giovò della messa in scena di Gerardo Guerrieri, intellettuale e drammaturgo, collaboratore di Visconti e di De Sica. L’Armida fu visualizzata e messa in scena nientemeno che da Alberto Savinio (fratello di De Chirico), e certo sarebbe interessantissimo conoscere con precisione qualche reazione o commento della protagonista , anche se, o proprio perché, si sa che non furono positivi. Che cosa sa l’appassionato di due donne fondamentali nella carriera callasiana, Hizi Koyke con cui lavorò su Cio Cio San a Chicago, e Tatiana Pavlova che la preparò come Fedora?
Né sono da dimenticare registi stranieri come il baritono austriaco Hans Duhan, come le colonne dei teatri europei Herbert Graf e Carl Ebert, solidi metteurs en scène quali Tyrone Guthrie (cugino di Tyrone Power!). Michael Benthall, William Wymetal e Nathaniel Merrill, certo più noti all’estero che in Italia; il russo-francese André Barsacq, collaboratore di Jacques Copeau, che mise in scena la sua prima Medea. Tra i registi italiani Maria Callas ebbe a lavorare anche con il palermitano Aldo Mirabella Vassallo, con il compositore triestino Livio Luzzatto, con il napoletanissimo Ettore Giannini.
Infine, fanno parte della storia dell’opera le regie di Herbert von Karajan; di quella rivoluzionaria Lucia di Lammermoor del biennio ’54-‘56, non tutto è stato descritto e valutato.
Un elenco di talenti che si spera sia di stimolo ad affrontare l’argomento Callas da un’angolazione che finora è stata minoritaria, e a farlo in profondità. Perché cinquant’anni fa il mondo dava l’addio a una straordinaria cantante-attrice.

martedì 12 agosto 2014

Michel Glotz: Maria Callas e Herbert von Karajan


Il 17 febbraio del 2010 a 79 anni di età è morto a Parigi Michel Glotz, produttore discografico tra i più importanti della storia musicale. Classe 1931, durante l´occupazione nazista in Francia dovette nascondersi a causa delle origini ebree e per questo motivo interruppe gli studi musicali. A guerra finita dopo l´università,  entrò alla sezione classica della EMI, ed ebbe l´opportunità di lavorare con il direttore inglese Sir Thomas Beecham.
Avvenne poi l'incontro con Maria Callas che gli chiese di collaborare come assistente di Walter Legge. Fu così che nel 1965 iniziò una stretta collaborazione anche con Herbert von Karajan, del quale divenne responsabile esclusivo per le registrazioni. Glotz ottenne numerosi premi e riconoscimenti, tra cui un Grammy nel 1977 per il ciclo delle 9 Sinfonie di Beethoven. In questa intervista pubblicata nel 2007 sul "Musica", il produttore racconta la carriera e in maniera diffusa fa riferimento al ruolo di produttore discografico.

Nell'arco degli ultimi cent'anni il disco ha condizionato sempre di più la vita musicale, dall'atto creativo alle scelte interpretative, dallo studio musicologico all'ascolto più casuale. E a far sì che una semplice documentazione sonora diventasse strumento musicale e modello estetico a tutti gli effetti sono stati soprattutto i record producers. Pionieri coraggiosi come Fred Gaisberg, visionari dispotici come Walter Legge e collaboratori esperti che si mettono al servizio dell'interprete come Michel Glotz, il quale firmò le ultime incisioni autorizzate di due mostri sacri come Maria Callas e Herbert von Karajan.

«Sarà un viaggio agitato, ma mai noioso»: così disse Herbert von Karajan a Michel Glotz durante una cena Newyorchese del 1965 che cambiò la vita di entrambi. Al produttore discografico francese, fino a quel momento dipendente della EMI e noto soprattutto come stretto collaboratore di Maria Callas, veniva offerta la possibilità di coordinare gran parte delle attività artistiche – tra incisioni, film, festival e tournée del maestro austriaco, senza rinunciare a quell'agenzia musicale parigina, Musicaglotz, che stava per fondare e che ormai è attiva da oltre quarant'anni.
E' stato protagonista o soprattutto un testimone d'eccezione, il signore parigino dai tratti dolcemente malinconici che mi accoglie nel suo ufficio a due passi dal Jardin du Luxembourg? Entrambe le cose, sicuramente. I suoi scritti autobiografici (l'ultimo volume, pubblicato da JC Lattès a Parigi nel 2002, è intitolato La note bleue) ci offrono squarci rivelatori «dietro le quinte» di cinquant'anni di vita musicale ai più alti livelli. Fu Glotz ad accompagnare la Callas al pianoforte in concerti privati sul panfilo Cristina, ad assistere a «jam sessions di musica da camera tra Heifetz, Piatigorski e Weissenberg» negli stessi anni sessanta, a seguire da vicino i rapporti tra Karajan e i Berliner Philharmoniker nei momenti esaltanti come in quelli di crisi. E fu lo stesso Glotz a firmare come record producer non solo buona parte delle incisioni di Karajan a partire dal 1968, ma anche gli ultimi dischi di Carlo Maria Giulini, una fetta sostanziosa della produzione discografica dell' amico di sempre Alexis Weissenberg, alcune opere verdiane incise da James Levine nei primi anni novanta (cito, tra gli esiti più alti, Luisa Miller e Don Carlo) e le opere russe realizzate in Bulgaria da un talento intrigante stroncato dall' Aids, Emil Tchakarov. A differenza dei suoi predecessori Walter Legge (EMI) e John Culshaw (Decca), Glotz ricorda con sincero affetto molti degli artisti con cui ha lavorato e non cercò mai, in sala d'incisione, di imporre una propria visione estetica che andasse al di là di un indubbio culto del bel suono. Ma nonostante il carattere amabile, il suo legame prolungato con il più potente maestro del secondo Novecento gli ha attirato non poche critiche sul piano professionale, talvolta «per errori che in realtà erano di Karajan o dell'equipe tecnica», come precisa l'autorevole biografo del direttore, Richard Osborne, che sottolinea pure l'affidabilità e la coerenza dei ricordi di Glotz. Del resto nessuno ha definito meglio dell'amico e «factotum» parigino l'essenza dell'uomo Karajan, a metà «tra un bambino e un vecchio saggio cinese».
Per un professionista di tale esperienza, una certa nostalgia è inevitabile («a Berlino Karajan non è mai stato sostituito»), ma nel corso della nostra conversazione (troppo lunga per essere riportata integralmente) l' attenzione di Glotz si sposta volentieri dal passato al presente, per comunicare tutta la sua ammirazione per certi artisti con cui collabora tuttora. Ne La note bleue viene dedicato un intero capitolo al grande basso italiano Ferruccio Furlanetto, e simili peana sono rivolti al Trio Wanderer e al violoncellista francese Xavier Phillips: entusiasmi di oggi che reggono benissimo i confronti con l´ingombrante passato.
Come nasce in Lei l'amore per i dischi?
I primi ascolti che ricordo risalgono all'età di quattro anni. I miei genitori avevano un'ottima collezione di 78 giri e presto divenni anch'io collezionista. Loro scoprirono in seguito che il modo migliore per potermi incoraggiare negli studi per il baccalauréat era darmi soldi con cui comperare dischi. Mi piacevano tanti generi e le mie orecchie erano particolarmente sensibile alla melodia. Quand'ero bambino odiavo la Sagra della primavera: per fortuna si cambia con la maturazione e negli anni a venire avrei inciso il capolavoro di Stravinski diverse volte.
Nel secondo dopoguerra Lei frequentò assiduamente i corsi pianistici di Marguerite Long. Ha mai rimpianto il fatto dí non essere diventato concertista?
In realtà no. Fu la guerra ad impedirmelo, negli anni formativi per le dita, per la mente, per quella disciplina quotidiana che è indispensabile al solista. Ma quell'educazione musicale che comunque ho avuto è stata la preparazione ideale per ciò che ho fatto nella mia vita. Seguivo i corsi della Long a Parigi come uditore. Mi dedicavo anche agli studi letterari allora e avevo già rinunciato all'idea di diventare concertista. Talvolta però accompagnavo gli allievi sul secondo pianoforte quando si trattava di studiare i Concerti con orchestra, e col tempo divenni un amico stretto della Long. Appresi moltissimo da lei sulla musica in generale e in particolare sulle composizioni di Debussy, Fauré, Ravel, Albéniz, Granados e De Falla, con i quali era stata in rapporti amichevoli. Si aveva veramente l'impressione con lei di poter raccogliere i frutti di una grande tradizione musicale. Fu attraverso la Long poi che conobbi personaggi come Poulenc e Milhaud e Georges Auric.
Naturalmente conobbe anche il violinista Jacques Thibaud, l'altro fondatore dell'Ecole Long-Thibaud…
Sì, e nell'ultima estate della sua vita – era il 1953 – trascorsi le vacanze con lui e sua moglie nella sua casa a Saint-Pée-sur-Nivelle, vicino a Saint-Jean-de-Luz. Poco dopo egli partì per quel viaggio in Oriente – doveva andare prima a Saigon, per suonare per le truppe francesi, e poi fare una tournée in Giappone – che gli sarebbe stato fatale. Morì in un incidente aereo orribile, e con lui furono distrutti i due violini che portava con sé. Uno Stradivari e un Vuillaume, che era meno vulnerabile dello strumento italiano ai cambiamenti di clima. Thibaud aveva un carattere molto diverso da quello della Long: estroverso e spontaneo, tipicamente meridionale. E il suo modo di suonare rispecchiava il carattere dell'uomo: un bon vivant, pieno di charme e fantasia, gentile e generoso.
Come si diventa un produttore discografico?
Ho avuto un ottimo apprendistato, assistendo alle sedute di registrazione di diversi amici musicisti: specialmente quei pianisti – come Aldo Ciccolini e Philippe Entremont – che entrarono in carriera dopo aver seguito i corsi della Long, ma anche direttori come André Cluytens. Trascorrendo tante ore in sala d'incisione mi resi conto che il lavoro di record producer era quello più adatto a me. Ero capace di distinguere una ripresa ottima da una semplicemente buona e ero convinto di poter creare un clima di entusiasmo che avrebbe aiutato i musicisti psicologicamente. Ero disposto nello stesso tempo a dire loro la verità. Si tratta di una regola inderogabile in questa professione. Se dici delle bugie a un interprete lo rimpiangerei per il resto della vita e perderai la fiducia dello stesso artista. Perché quando il disco uscirà lui si renderà perfettamente conto che l'incisione che avevi descritta come ottima in realtà è mediocre. Questa regola valeva pure per Karajan, anche se non sempre era facile essere franchi in determinate situazioni. Durante l'incisione la partitura diventa veramente la bibbia del produttore. In quel momento non vedi nessuno quando iniziavo negli anni cinquanta non c'era una vetrata che ti permetteva di osservare chi incideva e devi dimenticare qualunque sentimento di affetto o di ammirazione nei confronti degli artisti. Il suono giunge attraverso le casse e devi semplicemente giudicarlo in base a quanto è scritto dal compositore. Se occorre correggere qualcosa bisogna farlo senza compromettere l'atmosfera di amicizia rilassata. Se si avverte però qualche difetto nella resa sonora, si deve intervenire subito: altrimenti l'orecchio si abituerà all'elemento di fastidio e ci si renderà conto della gravità dell'errore soltanto dopo l'uscita del disco.
Le Sue prime incisioni furono realizzata alla Salle Wagram a Parigi? Come si trovava lì?
Era, ed è, una sala eccezionale. Usata normalmente per gli incontri di pugilato, è relativamente silenziosa e ha un'acustica eccellente grazie al rivestimento in legno. Questa sala fu amata da tanti artisti, tra cui Beecham, che vi incise la sua Carmen nel 1959 con l'Orchestre National de France.
Cosa ricorda di quelle sedute d'incisione?
Posso raccontare un aneddoto curioso. Un giorno si doveva provare le arie di Carmen alle dieci del mattino e Victoria de los Angeles era un po' in ritardo. Alle dieci in punto Beecham si rivolge a me dicendo: «Il tuo soprano spagnolo non è arrivato» e poi insiste perché io la sostituisca. Così mi trovo a cantare in falsetto praticamente tutta la parte del mezzosoprano! Si trattava soltanto di una prova, ma Paul Levasseur, l'ingegnere del suono, registrò tutto, compresi i commenti di Beecham che approvò la mia interpretazione della «Seguidille» ma mi chiese di ripetere una parte del duetto con Don José per un errore di solfeggio! L'orchestra naturalmente si sbellicava dalle risa.
In Inghilterra Beecham è considerato un grande interprete della musica francese: questo parere è condiviso in Francia?
Assolutamente sì. Nell'opera francese colpiva per la fantasia e la sensibilità del fraseggio, per la bellezza delle sonorità. Ed era senza rivali per esempio nella Sinfonia in Do di Bizet. Mi ricordo che insistetti tante volte con Karajan perché incidesse quella sinfonia, ma lui rispondeva sempre: «Il disco di Beecham è così bello che non posso superarlo».
Negli ultimi anni cinquanta arrivai a conoscere Beecham molto bene. Negli ultimi giorni della sua vita mi chiese di diventare direttore musicale di un Festival Berlioz che lui voleva organizzare a Londra con la Royal Philharmonic Orchestra. Andai a trovarlo alla sua casa di campagna in Inghilterra per pianificare il lavoro, ma lui era ormai molto stanco. A un certo punto tornai a Parigi e mi telefonarono la mattina dopo per dirmi che era morto durante la notte. Volai subito di nuovo in Inghilterra per il funerale, dove Lady Beecham – che vive ancora oggi – insistette perché salissi in macchina con lei e con il figlio per accompagnare Sir Thomas al luogo di sepoltura, nella bellissima campagna inglese.
Quella di Beecham fu solo la prima di molte incisioni di Carmen realizzate de Lei.
In effetti l' opera di Bizet è diventata una mia specialità. Dopo quella di Beecham, in cui affiancavo il produttore discografico Victor Olof, ebbi piena responsabilità per l'incisione con Maria Callas diretta da Georges Prétre, per le colonne sonore del film di Karajan con Grace Bumbry e di quello con Julia Migenes e regia di Rosi e per l'ultima incisione in studio di Karajan con Agnes Baltsa.
Preferisce i recitativi cantati oppure i parlati della versione originale?
Trovo che i recitativi di Guiraud si sposano benissimo con la musica di Bizet. I dialoghi originali mi piacciono solo quando gli artisti hanno una vera padronanza del francese.
Personalmente – per limitarci alla protagonista – li ho sentiti dire bene soltanto da Regine Créspin, in una recita dal vivo dal Met.
In effetti la Crespin è stata una delle cantanti che ha saputo pronunciare il francese con la massima chiarezza. Un esempio di dizione anche tra gli interpreti di madre lingua francese. Basta sentire l' incisione dei Dialogues des Carmélites che realizzammo insieme nel 1958: una pronuncia assolutamente impeccabile. E' un peccato che non avesse un tipo di voce adatto alla parte di Mélisande, perché sarebbe stata una rivelazione sentirla in quella musica. Dopo il mio arrivo alla EMi nel 1957 ebbi diverse occasioni di lavorare con lei. Ricordo una selezione della Tosca in lingua francese diretta da Pretre. Fui io a presentarla poi a Rudolf Bing, il quale le offrì un contratto per il Metropolitan, e grazie al mio amico André Cluytens fu presentata a Wieland Wagner, che la scritturò per diverse opere a Bayreuth. Devo dire che anche l' idea di Karajan di scritturarla per Brünnhilde al Festival di Pasqua di Salisburgo nel 1967 ebbe origine da un mio suggerimento.
Incuriosisce il fatto che si incideva ancora una Tosca in francese nel 1960.
Negli anni cinquanta la vita musicale francese era ancora molto provinciale. Al punto che quando Maria Callas debuttò all' Opéra nel 1958 le sue incisioni non venivano praticamente distribuite dalla Pathé-Marconi in Francia perché erano in lingua originale. Devo dire che odiavo questa tradizione di eseguire le opere in traduzione; una tradizione ancora viva allora anche in Italia e in molti altri paesi europei. Quando per esempio Karajan diresse Carmen alla Scala nel 1955 con la Simionato e Di Stefano, venne avvicinato da Toscanini che era alquanto contrariato dall'idea che il direttore austriaco volesse imporre quell'opera in lingua originale nel teatro milanese. Se avesse però sentito un Falstaff in francese, credo che si sarebbe indignato…
Prima ha parlato dei Dialogues des Carmélites di Poulenc, un compositore che ha conosciuto molto bene negli ultimi anni di vita.
Le case discografiche erano felicissimi di incidere la musica di Poulenc perché i suoi dischi vendevano: in un solo anno furono acquistati – e soltanto negli Stati Uniti – centocinquantamila copie dell'incisione del Concerto per organo con Maurice Duruflé, sotto la direzione di Prétre. Era uno dei pochi compositori del Novecento che abbia goduto di un' autentica popolarità quando era ancora in vita. Lui stesso era entusiasta dei progetti discografici, ma preferiva non assistere alle sedute di registrazione. Quando abbiamo inciso il Concerto per organo in una chiesa a meno di un chilometro di distanza dalla casa del compositore, mi disse: «Io ho detto tutto quello che avevo da dire attraverso la musica e voi l' avete capito. Amo Georges Prétre. Lasciate che il disco mi giunga come un dono, una sorpresa. Stupitemi!». Ricordo soltanto due eccezioni a questa regola. Gli chiesi di venire alla Salle Wagram durante l'incisione di Gloria per offrire il suo appoggio morale al soprano Rosanna Carteri che era angosciata per una frase ostica per l' intonazione sul passaggio di registro. E la presenza del compositore la aiutò a superare il problema in modo superbo. L' altro esempio riguarda l'incisione della Voix Humaine con Denise Duval, che non fu prodotta da me ma che venne acquisita dalla EMI in un secondo momento. In quel caso fu lo stesso Poulenc a voler essere presente per assicurarsi che le pause di silenzio – così cruciali in quest'opera – fossero sufficientemente lunghe.
Nello stesso periodo Lei divenne amico di Maria Callas.
Avevo già visto la Callas in una Turandot al San Carlo di Napoli e poi in una Traviata alla Scala che lasciò l' uditorio in stato di choc. Ma cominciai a conoscerla bene nel 1957, quando fece scalo a Parigi durante un viaggio dall'Italia agli Stati Uniti e diventammo amici stretti – sentendoci spesso ogni giorno per telefono – a partire dal 1958, quando collaborai all' organizzazione della grande serata di beneficenza all'Opéra che segnò il debutto del soprano a Parigi. Una serata di tre ore che fu trasmessa in Eurovisione, e che ebbe un impatto tale che per la durata del programma si verificò una notevole diminuzione del traffico automobilistico in tutta Europa. La Callas conquistò in quell' occasione l'amore della città di Parigi e della Francia intera. Quel concerto segnò una svolta nella sua carriera e Parigi sarebbe diventata in seguito la sua città. Aveva una personalità fortissima, ma nello stesso tempo si adattava benissimo ai luoghi più diversi. Parlava un ottimo francese, con intonazioni dolci e gravi che rispecchiavano gli armonici bellissimi della voce cantata.
La Sua prima collaborazione discografica con la Callas riguardava i due album intitolati «Callas à Paris». Il produttore Ufficiale tuttavia fu Walter Legge…
Legge aveva la responsabilità globale per le incisioni, ma lui andava avanti e dietro tra Parigi e Londra lasciando il grosso del lavoro a me. Siccome però lui era Walter Legge ed io non ero nessuno, il suo nome figura come recording producer. A questo proposito la Callas mi disse: «Sarebbe una battaglia perduta in partenza tentare di ottenere un pieno riconoscimento del tuo ruolo, ma voglio almeno che sulla copertina dei dischi ci sia un articolo scritto e firmato da te»: e così si fece. La Callas ebbe in quel periodo dei dissapori con Legge a causa di un'edizione del Requiem di Verdi promessa prima a lei e poi affidata – per quanto riguarda la parte sopranile – alla moglie Elisabeth Schwarzkopf. Si era un po' stufata del suo modo di fare, così come si era stufato Karajan, che era stato aiutato moltissimo da Legge nel primo dopoguerra ma in seguito si sentì sfruttato da lui dal punto di vista contrattuale. Ora che la Schwarzkopf non c'è più posso dire che Walter Legge fu un maestro per tutti noi ma anche uomo sgradevole: e dire sgradevole è un understatement. Era una specie di genio per quanto riguardava la conoscenza della musica, la qualità del suono che otteneva e i suggerimenti che era capace di dare agli interpreti (con la Schwarzkopf agì da vero Pigmalione), ma aveva anche molti pregiudizi e nel dire la verità agli artisti spesso oltrepassava i confini della maleducazione, dicendo le cose in maniera brutale e facendosi di conseguenza molti nemici. Tuttavia tra i produttori discografici solo Jack Pfeiffer della RCA poteva avvicinarlo per conoscenza della musica (non posso parlare però di John Culshaw perché non l'ho conosciuto a sufficienza per poterlo confrontare con Legge). Per anni, durante le mie trasferte londinesi, osservai Legge al lavoro negli studi di Abbey Road, assimilando come una spugna tutto quello che aveva da insegnare. Non l' ho mai imitato però nella rudezza di carattere, anche perché ero troppo giovane per impormi in quella maniera: lui era abrasivo e severo, io invece avevo un atteggiamento dolce ed amichevole nei confronti degli artisti.
Nei due album «Callas à Paris» si spazia dal repertorio per contralto a quello per soprano leggero: come vennero scelte le arie da incidere?
Molte delle arie erano già state studiate dalla Callas con Elvira de Hidalgo in Grecia. C'era un pianoforte all' Hotel Lancaster a Parigi dove il soprano alloggiava allora e ci incontravamo lì con il direttore Georges Pretre per decidere cosa inserire nel disco. La Callas poi ripassò il tutto con Janine Reiss, con la quale nacque un' intesa artistica specialissima. L' unico pezzo che non pubblicammo subito fu «Mon choeur s' ouvre à ta voix» da Samson et Dalila: ed è l' unica incisione la cui pubblicazione venne approvata da me dopo la morte di Maria. Prima di dare la mia approvazione l' ascoltai tante volte e mi sembrava veramente eccezionale: toccante come interpretazione, bellissima come linea. Sapevo bene naturalmente perché l' aveva bloccata: la melodia scendeva nel registro più grave della sua voce ed era stata costretta a una ripresa di fiato che lei riteneva fosse troppo lunga. Quando decidemmo di pubblicare l' aria tentai di accorciarla in sede di editing, ma si avvertiva troppo l' intervento tecnico e alla fine abbiamo lasciato l' esecuzione com' era. Mi opposi invece con forza alla pubblicazione del duetto dal terzo atto di Aida realizzato alla Salle Wagram nel 1964 con Franco Corelli. Quello che venne pubblicato, con l' autorizzazione non mia ma della sorella della Callas, Jackie, secondo me è un insulto alla memoria di Maria. Si tratta non di una registrazione definitiva ma di una semplice prova, durante la quale Corelli voleva a tutti a costi cantare a piena voce mentre la Callas si stava semplicemente scaldando. Poi, quando la prova era finita, Corelli si rifiutò di ricantare il duetto in voce perché diceva che l' aveva già fatto. Ci sono due cantanti con cui non sono mai riuscito a lavorare felicemente. Uno era Boris Christoff, a causa del suo carattere difficile (ma riconosco la grandezza dell'interprete). L' altro era Franco Corelli, a causa delle interferenze della moglie e di certi comportamenti stupidi. In quell'occasione Maria era arrabbiatissima con lui e mi disse: «Vai a trovare Franco. Digli che lo ammiro molto, che amo la sua voce, ma che non posso lavorare in queste condizioni».
Capitava alla Callas di innervosirsi a causa dei suoi problemi vocali?
Era quasi sempre tranquilla in sala d'incisione. Se la voce non rispondeva mi diceva: «Oggi non sono in forma. Cercherò di fare meglio, ma se non riesco lo ripeterò domani». Sapeva di poter lavorare con tranquillità perché i suoi dischi vendevano così bene che la EMI poteva ben permettersi di dedicarvi diverse sedute. La Callas non arrivò mai in ritardo per le incisioni, ma a volte stava in crociera con Aristotele Onassis sulla nave Christina fino a pochi giorni prima dell'inizio del lavoro e non aveva trovato il tempo per mettere le arie totalmente in voce. In quei casi veniva chiamata Elvira de Hidalgo da Milano. Era spesso presente alle incisioni di Maria fino alle ultime sedute gestite da me nel 1965. E bastava un' ora al pianoforte per trasformare la voce della Callas. Frasi che erano sembrate tecnicamente ostiche improvvisamente diventavano facili.
Spesso si dice che Onassis non apprezzava l'arte della Callas.
Io non ho mai detto cose del genere. In realtà Onassis amava il belcanto come amava Chopin. C'era un pianoforte sul Christina e quando ero ospite sulla nave suonavo i Notturni di Chopin per lui e accompagnavo Maria in arie di Bellini. Ma ho sentito la Callas cantare, come nessun altro al mondo, anche le tradizionali canzoni greche accompagnate dal bouzouki. Le ho chiesto di inciderle, ma lei non amava l' idea di fare un disco che potesse sembrare un tentativo di utilizzare il suo nome per fini puramente commerciali. Amava però quella musica e guardava con assoluto rispetto e umiltà agli interpreti di musica «leggera», come Melina Mercouri. Era in grado di impadronirsi di qualsiasi musica. L' ho sentita cantare il jazz da vera americana e interpretare meravigliosamente le mélodíes di Duparc. Registrò infatti la versione con orchestra dell'«Invitation au voyage» per la trasmissione televisiva «Les Grandes Interprètes» nel 1965, ma non c'era spazio per inserirla nel programma e in seguito il filmato sparì. Io ero presente durante la registrazione e fu un' interpretazione fantastica, ma lei rifiutò sempre le mie proposte di realizzare un disco dedicato a Duparc: diceva che non avrebbe mai potuto rivaleggiare con le migliori cantanti francesi.
La Callas cantò Norma per l'ultima volta all' Opéra di Parigi negli anni 1964-65, talvolta in precarie condizioni di salute e di voce. Ha un ricordo felice di quelle recite?
Assolutamente sì. Nonostante tutto, ebbe dei trionfi indescrivibili. Vorrei ricordare poi un episodio significativo riguardante il sindacato degli orchestrali, che allora come oggi era molto forte. Una mattina la Callas stava provando Norma all' Opéra con Prétre sul podio: c'era un' atmosfera particolarmente bella e armoniosa. Maria non si rendeva conto del passare del tempo e la prova – che avrebbe dovuto concludersi alle tredici – proseguì per altri sedici minuti. A un certo punto lei interruppe il lavoro perché voleva correggere qualcosa e Prétre le disse che purtroppo dovevano fermarsi perché la prova era finita. Neanche uno dei professori d'orchestra si era fermato, tuttavia. Lei si scusò con l'orchestra, ma io decisi di raccontare comunque quest' episodio a Georges Auric, direttore dell' Opéra, perché sapevo che i sindacati avrebbero potuto creare qualche problema. Ma quando lui telefonò ai rappresentanti sindacali, loro dissero: «No, non vogliamo dei soldi in più per quei sedici minuti perché si tratta di Madame Callas». Ciò fa capire la felicità che era in grado di trasmettere al mondo intero.
Un altro artista con cui ha avuto un sodalizio stretto, e per un periodo ancora più lungo, è Herbert von Karajan.
Conobbi Karajan già nel 1957 e dopo che avevo lasciato la EMi alla fine del 1965 per creare un ufficio di rappresentanza per artisti, divenni il suo collaboratore e factotum, con un ruolo molto attivo nella progettazione del Festival di Pasqua a Salisburgo, che si inaugurò nel 1967 con l' inizio di un Ring in cui si proponeva un approccio nuovo e diverso al canto wagneriano. In quel periodo lui aveva un contratto discografico esclusivo con la DG, firmato dopo la rottura con Legge. Ma quando quel contratto terminò, riuscii a convincerlo a non confermare quel rapporto di esclusività e a riprendere i rapporti con la EMI. Dal 1968 fino alla sua morte nel 1989 sono stato poi il produttore discografico di Karajan, collaborando non solo con la EMI ma anche con DG, mentre le incisioni Decca erano gestite da altri. Lui mi cercò anche nell'ultimo giorno della sua vita. Mi chiamò alle 11.30 di quel 16 luglio – un' ora prima della morte – ma purtroppo non riuscì a raggiungermi. Le mie prime incisioni con lui erano state le ultime sei sinfonie di Mozart con i Filarmonici di Berlino, seguite da Tristan und Isolde con Helga Dernesch e Jon Vickers e Fidelio con gli stessi interpreti. A Berlino si incideva in quegli anni nella Jesus Christe Kirche, che era sulla strada per l'aeroporto di Tempelhof. Lavorarci era un'esperienza esasperante perché dovevamo interrompere le riprese ogni cinque minuti a causa degli aerei. In seguito abbiamo inciso sempre nella Philharmonie, mentre a Vienna, con i Wiener Philharmoniker, si utilizzava la Sofiensaal del Musikverein e a Parigi – per tre anni, dopo la morte di Charles Munch nel 1968, Karajan fu consigliere musicale dell' Orchestre de Paris – si incideva nella Salle Wagram.
Di quali incisioni con Karajan va più orgoglioso?
Un giorno che eravamo a tavola nel suo chalet di Anif in Austria, mi chiese lui stesso quale dei nostri dischi avrei portato su un' isola deserta. Risposi che avrei scelto le sinfonie di Brahms oppure qualcosa di Strauss, magari la Heldenleben. «Non ti piace allora il mio Beethoven?», mi rispose scherzosamente. Devo dire che ho un ricordo fantastico anche di molte altre incisioni straussiane – per esempio la Salome con la Behrens e i Vier Letze Lieder con la Janowitz – , dei Concerti di Beethoven con Alexis Weissenberg, del Don Carlo inciso nel 1978 con Carreras e la Freni e del Pelléas che incidemmo sempre nel 1978. Quest' ultima incisione fu curata al massimo: ventisette o ventotto sedute, con la presenza di Janine Reiss come coach musicale. Fu il risultato di una specie di baratto. Peter Andry della EMI voleva che si incidesse un' integrale delle sinfonie di Schubert, ma Karajan non era così entusiasta dell'idea: amava alcune delle sinfonie, ma non tutte. Alla fine lo convinse a inciderle in cambio della promessa di fare quel Pelléas, a cui lui teneva moltissimo. Per tornare al discorso di prima, Karajan mi chiese pure quale delle nostre incisioni mi piaceva meno di tutte. Non ebbi dubbi: Le Stagioni di Haydn incise a Berlino nel 1972. «Perché?». «Perché la Janowitz non stava bene e aveva problemi di intonazione, Walter Berry stava divorziando da Christa Ludwig ed era in cattiva forma anche lui. Il tenore era terribile: preferisco non nominarlo. E il coro – quello del Deutsche Oper Berlin – non ti piaceva». Lui mi guardò e disse: «Sono stupefatto. E' l' unico lavoro di Haydn che non mi piace per niente. Ma abbiamo fatto davvero quell'incisione?». « Sì, ed è il ricordo più infelice di tutto il nostro lavoro insieme. Te lo dissi allora. E ricordo bene che dicesti che non avresti più inciso un lavoro corale senza il Singverein di Vienna». In effetti lo impiegò sempre in seguito, tranne che nella Carmen, per la quale scelse il Coro dell'Opéra di Parigi.
Il legame di Karajan con Vienna, in effetti, fu molto forte.
Bisogna ricordare che era nato l' 8 aprile del 1908. Come tanti austriaci della sua generazione provava una grande nostalgia per l' Impero Asburgico. Per lui il Trattato di Versailles del 1919 fu una catastrofe totale che distrusse un impero che, per quanto complicato e diversificato geograficamente, permetteva tuttavia una convivenza armoniosa. E ancora oggi stiamo pagando le conseguenze di quella catastrofe: basti pensare alle turbolenze nel Kosovo. Devo dire che Karajan mi trasmise quest' amore per Vienna e questa nostalgia per il passato, e ogni volta che vado nella città austriaca – l' ultima volta fu nel mese di giugno per vedere un grandissimo Ferruccio Furlanetto nel Don Carlo – visito l' Hofburg ed entro anche nella Cripta dove sono sepolti gli imperatori.
Stephen Hastings ("Musica", n.189 – settembre 2007)

mercoledì 16 luglio 2014

Ho avuto il grande privilegio di poterlo ascoltare e vedere dal vivo a Città del Vaticano a Roma, alla testa dei Wiener Philharmoniker. Era il 29.06.1985, e per una pura casualità riuscii ad avere accesso alla Basilica di San Pietro per la solenne celebrazione dei SS. Pietro e Paolo. Il posto che riuscii ad ottenere fu immediatamente dietro i Cardinali, perché la persona che mi aiutò ad avere l'invito, per avvicinarmi all'Altare, mi inserì tra coloro che dovevano ricevere addirittura la Comunione da Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II. Doppia emozione, per una giornata incredibile che non dimenticherò mai. L'acustica non era granché, perché ampiamente rovinata dalle innumerevoli eco dovute all'immensità della Basilica Vaticana. Partecipare, comunque, fu qualcosa di speciale e molto emozionante.

Oggi 16.07.2014, a 25 anni dalla sua scomparsa, un doveroso omaggio a Herbert von Karajan...

lunedì 19 maggio 2014

Maria Callas "senza voce"...

http://youtu.be/-5RFNjAGrzI

...ma con tutto il resto perfettamente al suo posto...

lunedì 2 dicembre 2013

 90 anni di Maria Callas



venerdì 29 novembre 2013



Allo Spazio Obendan della Provincia di Milano

Lunedi' 2 dicembre una serata per i 90 anni della Callas

 

Pezzo forte la proiezione del secondo atto della tosca del Covent Garden 1964

Il 2 dicembre prossimo andiamo incontro ad un anniversario molto importante: il 90° anniversario della nascita di Maria Callas e per l’occasione Provincia di Milano tramite l'Assessorato alla Cultura, in collaborazione con Warner Classics, organizza una serata in onore della grande diva.

La serata si tiene nella Sala Alda Merini dello Spazio Oberdan (Viale Vittorio Veneto, 2 - Milano) alle ore 21.00, e prevede la proiezione del video del 2° atto della “Tosca” di Puccini, interpretata dalla Callas al Royal Opera House Covent Garden nel 1964, intepretazione mitica della grande artista.

Le riprese sono tratte dal cofanetto Maria Callas at Covent Garden 1962 & 1964, pubblicato da Warner Classics (2 cd + dvd). Solo poche performance live di Maria Callas sono state filmate. Per questa ragione il materiale contenuto nel cofanetto è da considerarsi particolarmente prezioso.

La proiezione sarà introdotta dalla giornalista e scrittrice Carla Maria Casanova sul tema 'Maria Callas, Milano e la Scala': il 'fenomeno Callas' non influenzò solo il mondo della lirica, ma l’intera società e cultura del suo tempo. Il Direttore della rivista Musica Stephen Hastings interverrà su 'Maria Callas, Londra e la fortuna discografica': al Covent Garden (1952-1965) l’artista realizzò alcune registrazioni audio e video 'live' fra le più significative del suo lascito artistico.

La storia della realizzazione di questo prezioso documento è la seguente. Il 4 Novembre 1962, Maria Callas prese parte come ospite a sorpresa di una trasmissione televisiva live di un concerto di gala alla Royal Opera House, Covent Garden. La Callas era in condizioni vocali eccellenti, e le sue interpretazioni di ‘Tu che le vanità’, dall’ultimo atto del 'Don Carlo”' di Verdi, e della Habanera, dal primo atto della 'Carmen' di Bizet, lo dimostrano ampiamente.

In seguito, il ritorno della Callas sul palcoscenico, in una nuova produzione della 'Tosca' di Puccini al Covent Garden agli inizi del 1964, sancì il suo grande rientro sulle scene operistiche dopo un anno travagliato soprattutto a livello personale. Fu il suo ultimo grande trionfo.

Il regista di 'Tosca' era Franco Zeffirelli, con cui la Callas aveva già lavorato alla Scala, e ad interpretare il ruolo del perfido Barone Scarpia era un suo caro amico e collega, il baritono Tito Gobbi.

Dopo sei recite, venne organizzato un Gala televisivo alla Royal Opera House, Covent Garden per la serata del 9 febbraio 1964, in cui si sarebbe rappresentato l’intero secondo atto di 'Tosca”. Poiché la trasmissione era in diretta, non c’era possibilità di interruzioni e tagli, e ci si doveva arrangiare con telecamere ad inquadrature fisse. Nonostante queste limitazioni, il filmato che ritrae la Callas nel secondo atto di 'Tosca' è un documento di incredibile valore artistico, testimoniando l’eccezionale trionfo a scena aperta tributato alla grande Diva.

Una serata in onore di Maria Callas
in occasione del suo 90°anniversario della nascita

Sala Alda Merini dello Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto, 2 - Milano
Lunedì 2 dicembre alle ore 21.00

Ingresso libero dalle 20.30 fino ad esaurimento posti.

Informazioni al pubblico:
Warner Classics, www.facebook.com/warnerclassicseratoitaly
Provincia di Milano/Spazio Oberdan,
027740.6302
www.provincia.milano.it/cultura













 
Maria Callas: Una serata in suo onore

Il 2 dicembre ricorre il 90° anniversario della nascita di Maria Callas e per l'occasione Provincia di Milano/Assessorato alla Cultura, in collaborazione con Warner Classics, organizza una serata in onore della grande diva.

La serata si tiene nella Sala Alda Merini dello Spazio Oberdan (Viale Vittorio Veneto, 2 - Milano) alle ore 21.00, e prevede la proiezione del video del 2° atto della "TOSCA" di Puccini, interpretata dalla Callas al Royal Opera House, Covent Garden nel 1964.

Ingresso libero dalle 20.30 fino ad esaurimento posti.

Le riprese sono tratte dal cofanetto "MARIA CALLAS AT COVENT GARDEN 1962 & 1964", pubblicato da Warner Classics (2 cd + dvd). Solo poche performance live di Maria Callas sono state filmate. Per questa ragione il materiale contenuto nel cofanetto è da considerarsi particolarmente prezioso.

La proiezione sarà introdotta dalla giornalista e scrittrice Carla Maria Casanova sul tema "Maria Callas, Milano e la Scala": il "fenomeno Callas" non influenzò solo il mondo della lirica, ma l'intera società e cultura del suo tempo. Il Direttore della rivista MUSICA Stephen Hastings interverrà su "Maria Callas, Londra e la fortuna discografica": al Covent Garden (1952-1965) l'artista realizzò alcune registrazioni audio e video "live" fra le più significative del suo lascito artistico.

"L'omaggio della Provincia di Milano a Maria Callas viaggia lungo un duplice binario. - sottolinea il Vicepresidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano, Novo Umberto Maerna - Da un lato, infatti, tributiamo alla Callas quanto le spetta per la popolarità planetaria conquistata, che l'ha trasformata in una delle più grandi dive del secolo scorso. Dall'altro c'è il rigore e la ricerca di qualità garantita dagli organizzatori che abbiamo scelto come partner; non a caso verranno riproposti brani della Tosca diretta da Franco Zeffirelli, una versione del grande classico consegnata per sempre alla storia della lirica. Siamo certi - conclude Maerna - che Milano, la città della Scala, saprà rendere a Maria Callas l'omaggio che si deve a un'icona della cultura musicale e popolare, italiana ed internazionale".

Omaggio a Maria Callas


(22-11-2013) - Il 2 dicembre 2013 lo storico Hotel Quirinale di Roma dedica alla Divina una suite e una mostra, presenta la sua biografia e mette nel menu alcuni dei suoi piatti preferiti


È un’iniziativa poliedrica quella che l’Hotel Quirinale dedica alla memoria della Callas: verrà intitolata alla Divina la suite nella quale amava soggiornare; a fare da corollario a questo evento anche un festival culinario, la presentazione della biografia della cantante e una mostra di ritratti.
Sin dall’inaugurazione nel 1880 del Teatro Costanzi, che nel 1926 divenne il Teatro dell’Opera di Roma, l’adiacente Hotel Quirinale fu il prediletto degli artisti. Complice di questo rapporto privilegiato anche il passaggio segreto che collega i due edifici e che permise proprio a Maria Callas di rifugiarsi nella sua suite nell’hotel durante la celebre rappresentazione della Norma alla presenza del presidente Gronchi nel gennaio 1958. Quella fuga segnò il definitivo addio della Callas al tempio della lirica romana.
Già ospite dell’Hotel Quirinale nel 2005, il pittore Giovanni Truncellito torna ad esporre negli ambienti dello storico hotel i suoi ritratti della Divina. La mostra intende evocare questa protagonista del belcanto attraverso un’interpretazione onirica che trasporta le suggestioni della musica fin sulla tela. Colori e atmosfere passionali per una delle interpreti più drammatiche e carismatiche nella storia della musica lirica mondiale.
Lo stesso giorno si terrà la presentazione della biografia di Maria Callas scritta dalla giornalista Roberta Maresci ed edita da Gremese Editore in collaborazione con Canale Diva (Sky 129) della Studio Universal. Il 2 dicembre inizierà inoltre anche il festival culinario in cui alcuni piatti preferiti della cantante, tratti dal libro “La divina in cucina” scritta dal suo storiografo Bruno Tosi, figureranno per una settimana nel menù del Ristorante Rossini al Quirinale.

venerdì 15 novembre 2013


Fabio Gervasoni



Un doveroso omaggio a Fabio Gervasoni, scomparso prematuramente a 53 anni. Fabio è stato uno dei più sinceri amici della memoria storica ed artistica di Maria Callas.

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da: http://www.lecconotizie.com/mandellolago/addio-a-fabio-gervasoni-padre-dellarchivio-dedicato-a-maria-callas-145118


Addio a Fabio Gervasoni, “padre” dell’Archivio dedicato a Maria Callas

di Claudio Bottagisi

MANDELLO – Mandello piange Fabio Gervasoni, morto all’età di 53 anni. Il suo nome si lega a una serie di eventi artistici e culturali, alcuni dei quali particolarmente apprezzati, proposti in paese fin dai primi anni Novanta del secolo scorso. Era ad esempio il 1994 quando Gervasoni, che per lunghi anni si è dedicato con grande impegno e passione alla scenografia, organizzò una mostra di costumi da lui stesso realizzati.
Piacque molto, quell’insolita esposizione, che proponeva abiti anche di epoche lontane (tra gli altri un costume del 1700) e comunque tutti di pregiata fattura, assolutamente ben confezionati e tali da attrarre l’interesse dei visitatori.
Il nome di Gervasoni si lega però in particolare al primo archivio dedicato a Maria Callas, celebre soprano conosciuta con l’appellativo di “Divina”, nata a New York da genitori greci, dotata di una voce che coniugava un timbro unico a volume, estensione e agilità notevoli.
Era il 2010 quando dal Fondo di proprietà proprio di Gervasoni nacque l’idea di costituire un Archivio internazionale e multimediale. Ancora non esistevano, infatti, archivi dedicati appunto alla Callas ma soltanto piccoli club privati, che non offrivano peraltro la possibilità di consultare, visionare e studiare l’attività di quella grande artista né di poter confrontare articoli, recensioni, libri e fotografie.
mostra Maria CallasIl Fondo Gervasoni – unito ad altri che successivamente andarono ad aggiungersi grazie a donazioni spontanee di privati – comprendeva tutte le registrazioni audio ufficiali e live fino ad allora pubblicate, nonché nastri privati di concerti mai diffusi dalle case discografiche, prove di registrazione e interviste. Insomma un immenso materiale di notevole interesse e indiscusso valore storico.
Oltre alla fonoteca, l’archivio era costituito da più del 95% dei libri pubblicati sulla cantante, ai quali si aggiungevano giornali e riviste originali che riportavano le cronache degli spettacoli e della vita privata del soprano, una raccolta completa dei Dvd pubblicati, filmati amatoriali e cinegiornali d’epoca.
La parte per così dire più nostalgica riguardava i programmi di sala dei concerti, ma soprattutto delle serate alla Scala di Milano, con le opere che fecero della Callas un caso unico del Novecento. Vi erano altresì francobolli, monete e medaglie dedicate da vari enti alla memoria della cantante.
A sostegno dell’Archivio voluto dal mandellese Fabio Gervasoni molti collezionisti privati avevano tra l’altro manifestato la loro disponibilità a offrire donazioni personali di dischi, autografi e materiale d’ogni genere, buona parte del quale fu in seguito anche digitalizzato. Basti dire che l’archivio fotografico digitale contava quasi 30.000 immagini.
Maria CallasDall’interesse per tutto quel materiale era nata l’associazione “Maria Callas International Archive” , che si prefiggeva di continuare il lavoro di ricerca e acquisto di vari materiali e, in parallelo, di organizzare mostre, eventi e incontri con personaggi della lirica che avevano avuto la possibilità di lavorare accanto al grande soprano.
L’associazione aveva trovato sede a Mandello al civico 11 di via del Fosso, nella zona a lago del paese, ed era stata inaugurata il 26 febbraio 2011, presente tra gli altri l’attore Enrico Beruschi. Nei mesi successivi era anche stata organizzata una mostra fotografica dedicata a Maria Callas.
Dopo quella sera di fine febbraio coincisa con l’inaugurazione della sede, Gervasoni (che del “Maria Callas International Archive” era presidente) aveva scritto sul sito dell’associazione: “Gran bella serata, grande afflusso di persone, giornali, Tv. Insomma, mancava soltanto… la Callas”.
Poi Fabio aggiungeva: “Non saprei da dove iniziare per i ringraziamenti. In primis un affettuoso grazie a quella splendida signora che è Giovanna Lomazzi, poi a Gianni Tanzi nostro vice, che ha portato un abito da sera della Callas…. A Stefano Castellani, collezionista, che ci ha portato una casacca arabeggiante appartenuta alla cantante, autografi e documenti interessanti di Meneghini. A Lino Venturi che ha donato all’associazione alcuni Lp, un raro manifesto dell’esposizione a Villa Cicogna nel 1979 e la stampa-libro della sua collezione filatelica dedicata al soprano. A Enrico Beruschi anche per i suoi aneddoti lirici, a Cristina Tosi, la fotografa che ha immortalato la serata. E un grazie naturalmente all’amministrazione comunale di Mandello, all’assessore alla Cultura Maurizio Bertoli, ai giornalisti, alle Tv e ai visitatori, che sono stati veramente molti. A tutti, grazie di cuore”.
E ora sono l’arte e la cultura, ma in generale Mandello, a dover dire grazie a Fabio Gervasoni, che lascia sua mamma Edda, con la quale viveva, e la sorella Milena.

sabato 10 agosto 2013

Dalla rivista "Suono" n. 64 dell’ottobre 1977

La sera del 2 agosto 1947 una cantante sconosciuta calcava le scene dell'Arena di Verona nei panni di Gioconda. il nome della ventiquattrenne debuttante, Maria Callas, non diceva nulla al pubblico e furono pochi, in quell'occasione, ad accorgersi del nuovo astro apparso nel firmamento della lirica. Anche la critica si limitò ad assegnarle un buon successo, ma niente dl più. Oggi, a trent'anni di distanza, spentisi i riflettori sulla «Divina», dileguatesi le schiere dei feroci nemici ed assopitisi (ma non del tutto) i sacri furoci dei «fanatici», a pochi giorni dalla sua morte, possiamo trarre qualche conclusione sul fenomeno Callas, considerato nel suo complesso, perché è proprio del fenomeno il non lasciarsi frantumare, pena il decadimento d'ogni interesse. Si è fin troppo parlato delle due schiere opposte di cultori e denigratori della Callas, o di certi leoni della critica accortisi troppo tardi della sua grandezza. La verità è che non sarebbe potuto accadere diversamente. La Callas, proprio come «fenomeno del secolo», non sopportava accettazioni parziali o riconoscimenti tiepidi: la si doveva ammirare o respingere in blocco. E qui bisogna precisare che la Callas comparve sulle scene in un periodo particolarmente viziato della Lirica, dopo alcuni decenni di malcostume vocale e di totale assenza di autentico «belcanto» (storicamente inteso): la Callas si trovò sola a combattere contro direttori incapaci di differenziare stilisticamente Lucia e  Pagliacci, contro colleghi avvezzi a vociferare secondo il dettame verista, contro tradizioni sceniche che avevano ridotto il cantante d'opera ad un fantoccio stereotipato. Non c'e da stupirsi che lo spettatore ed il critico (da non confondere con lo storico) tardassero a riconoscere la grandezza unica della Callas, limitandosi magari a fare sciocchi confronti tra i suoni «brutti» della Maria e quelli «angelici» della Tebaldi, creando una rivalità adatta più al pettegolezzo giornalistico che alla serietà dell'esegesi vocale. Ed è logico che la critica non cogliesse, negli anni Cinquanta, il fenomeno. Siamo addirittura tentati di ritenere che i critici più avveduti facessero parte della cieca partigianeria callasiana, altrimenti non avrebbero osannato, insieme alla vocalità della «Divina», gli urli di un Di Stefano, certi suoni beceri di Gobbi o di Bechi, il vociferare di Del Monaco, le improprietà stilistiche dei direttori più in voga; come pure siamo portati a giustificare i tardivi riconoscimenti dei critici più seri, abituati a frantumare, ad analizzare nei particolari ogni esecuzione, perché la Callas, colta in una prospettiva convergente, non sempre supera l'esame al microscopio, non accetta facilmente d'essere frantumata, analizzata, sezionata. La sua grandezza è stata quella di accentrare in sé i pregi e i difetti delle precedenti ere vocali, assoggettando il proprio estesissimo organo ai ruoli più disparati, da quelli scritti per contralto acuto rossiniano alle parti per soprano coloratura, cancellando le classificazioni di soprano leggero, lirico e drammatico per creare la «cantante» in senso assoluto, l’«interprete» non meno attenta alla presenza scenica che al puro fatto vocale, sia che impersonasse un'eroina angelicata del primo Ottocento, sia che delineasse, con tratti sanguigni, un personaggio verista. E' stato abbastanza facile ai critici, in tempi recenti, capovolgere il binocolo per giudicare, con l'occhio dello storico, la portata del fenomeno callasiano. Ci si è allora accorti che senza la Maria non sarebbe probabilmente rifiorito, soprattutto in campo femminile, il «belcanto»; si è capito che la riesumazione di tanti capolavori - di cui la nostra epoca si vanta - ha trovato nella Callas la prima sostenitrice e divulgatrice. Opere come Medea, Vestale, Pirata, Armida, Anna Bolena, Ifigenia in Tauride, Macbeth, devono al suo «imprimatur» una seconda giovinezza. Senza le interpretazioni della Callas questi capolavori sarebbero probabilmente rimasti ad ammuffire negli scaffali e noi non registreremmo il revival belcantistico delle varie Sutherland, Caballé, Horne, Sills, Gencer, Verrett. Solo attraverso un'analisi retrospettiva si riesce dunque a cogliere l'importanza storica della Callas e la sua posizione di caposcuola, cancellando con un colpo di spugna i pettegolezzi, le cattiverie, i devianti fanatismi, gli scandali che ne hanno adombrato la prestigiosa carriera. Oggi questo personaggio fondamentale per il mondo del teatro e della musica non c'e più. La Callas è morta il 16 settembre di quest’anno nel suo appartamento di Parigi per un attacco cardiaco. Aveva 54 anni, un'età non certo avanzata, per chi conduce una vita normale. Ma la sua non è stata di certo tale: nella vita e sulla scena, la Callas non ha mai risparmiato le energie e l'impegno. I risultati sono ben noti, ma certe cose prima o poi si pagano. Ora ci restano di lei le incisioni discografiche (quelle stupende e quelle meno belle: tutte importanti), le fotografie che registrano le sue tipiche, intensissime espressioni di cantante-attrice, la superba interpretazione del film «Medea» di Pasolini. Non è molto, se lo si paragona alla grandezza della sua arte. Ma basterà di certo a non farla dimenticare. [Bruno Baudissone]